Una foto della vecchia città

Belfast ha un percorso variegato: dall’essere la culla del nazionalismo irlandese, all’epoca in cui in altre parti del paese si diffondevano gli insediamenti voluti da Elisabetta I e Giacomo I d’Inghilterra, divenne essa stessa la principale area ambita dai coloni provenienti dalla Scozia. Ben presto tutto si è trasformato in un caleidoscopio di rivalità, rappresentato in città da intere comunità che sventolano il tricolore della repubblica o la Union Jack, che simboleggia l’identità britannica. Nelle zone meno popolate, persino i paracarri erano dipinti di verde bianco e arancio o in rosso bianco e blu, a seconda se la comunità locale fosse nazionalista repubblicana o unionista lealista.

Il periodo dell’autogoverno

Nonostante non fosse stato richiesto, Belfast racconta come nel 1920 fu concesso l’autogoverno. A nulla servì la disapprovazione di alcuni esponenti locali, come sir Edward Carson. Il governo locale di Belfast, guidato da James Craig e dai primi ministri che gli succedettero, avviò una politica di discriminazione nei confronti della minoranza cattolica, che si sentiva molto più legata alla neonata Repubblica che alla corona britannica. Usando le parole del leader unionista David Trimble (primo ministro e premio Nobel per la pace nel 1998), Belfast divenne “un luogo freddo per i cattolici”. I distretti elettorali vennero modellati in modo tale che il controllo dei consigli cittadini venisse assicurato ai protestanti. A questo fine vennero stretti accordi storici elettorali che davano alle imprese alcune agevolazioni in cambio di voti. Negli anni ’60, il primo ministro unionista moderato Terence O’Neill cercò di riformare il sistema ma incontrò la dura opposizione dei leader estremisti protestanti: il reverendo Ian Paisley. La crescente pressione per le riforme da parte dei nazionalisti e la totale chiusura da parte degli estremisti unionisti portò alla nascita di un movimento per i diritti civili guidato da figure come John Hume, Austin Currie e altri. Gli scontri tra i manifestanti a Belfast e le forze di polizia britanniche (Royal Ulster Constabulary) alzarono il livello della disputa. Il ministro dell’interno britannico James Callaghan inviò l’esercito britannico nell’Ulster. Un modo per proteggere i nazionalisti dagli attacchi. Inizialmente la popolazione, “i belfastiani”, accolse con favore i militari.

Il conflitto degli anni ‘70 e ’80

La situazione, però, si infiammò il 30 gennaio 1972, quando dei paracadutisti britannici uccisero a Derry tredici civili disarmati. Per reazione all’eccidio della domenica di sangue o Bloody Sunday, i nazionalisti si rivoltarono contro l’esercito britannico. Il diniego del governo unionista, guidato da Brian Faulkner, di cedere al governo britannico i poteri relativi a giustizia e ordine pubblico, portò a sospendere il parlamento. Così Londra riprese il governo della provincia (Direct Rule) il 24 marzo 1972. L’apparizione della Provisional IRA (un gruppo di fuoriusciti dall’Official IRA), e la campagna di violenza condotta da gruppi terroristici lealisti quali l’Ulster Defence Association e altri, portò il territorio sull’orlo della guerra civile. Lungo tutti gli anni anni Settanta e Ottanta, a Belfast gli estremisti di entrambi gli schieramenti portarono avanti una serie di omicidi, attentati e ferimenti, spesso ai danni di civili innocenti. Un duro conflitto armato. Alcuni politici britannici, soprattutto l’ex ministro laburista Tony Benn, furono fautori del ritiro della Gran Bretagna dall’Isola. I vari governi irlandesi espressero tuttavia un forte dissenso, prefigurando il rischio di ulteriori scontri e di esodi di massa. Si temeva che i nazionalisti si spostassero verso le contee occidentali e i lealisti verso le contee orientali. La paura più forte fu quella di una guerra civile che coinvolgesse Belfast, l’Ulster e anche la Repubblica irlandese nonché la Scozia.

La pace degli anni Novanta

Dopo aver provato senza successo nuovi sistemi di governo, gli anni Novanta segnano il fallimento della violenza che s infuria sia a Belfast sia in Irlanda del Nord sulla campagna dell’IRA per l’ottenimento del supporto delle masse o il ritiro britannico. In particolare sarà eloquente il disastro sul piano delle relazioni pubbliche, cui fece seguito la strage di Enniskillen. Il cambio ai vertici repubblicani tra Ruairí Ó Brádaigh e Gerry Adams, vide un ulteriore allontanamento dal conflitto armato a favore dell’impegno politico. I cambiamenti che avvennero a Belfast furono seguiti dalla comparsa di nuovi leader a Dublino (Albert Reynolds), Londra (John Major e poi Tony Blair) e nello schieramento unionista (David Trimble). I contatti inizialmente stabilitisi tra Gerry Adams e John Hume, capo del Partito Social Democratico Laburista, sfociarono in negoziati. Ai colloqui furono coinvolte tutte le parti in causa. Così nacque l’accordo di Belfast del 10 aprile 1998 (accordi del Venerdì Santo). Il mese successivo fu approvato a maggioranza da entrambe le comunità, chiamate ad esprimersi in referendum separati. Contestualmente, fu emendata la costituzione della Repubblica, nella quale scomparve la rivendicazione dei territori. Fu esplicitato il riconoscimento del diritto di esistere, fatto salvo il desiderio nazionalista di un territorio unito. Con l’Accordo del Venerdì Santo fu reintrodotto il parlamento e si stabilì che il governo locale avrebbe rispettato nella sua composizione la rappresentatività di tutti i maggiori partiti. Trimble guidò il primo governo dopo la stipula dell’accordo. Ma l’assemblea e l’esecutivo furono sospesi per un presunto ritardo da parte della Belfast IRA nell’implementare lo smantellamento del proprio arsenale. Fortunatamente, in breve tempo la situazione tornò serena.

Il cambiamento

La visita di Elisabetta II alla sede del Parlamento Stormont a Belfast segnò ancora una volta una rottura (o a seconda dei punti di vista una mano tesa). La reale incontrò i rappresentanti unionisti così come quelli nazionalisti, e parlò del diritto dei cittadini nordirlandesi (eguali diritti dei britannici). Similmente il presidente irlandese Mary McAleese, nella sua visita, si incontrò con i ministri nazionalisti e con i locali rappresentanti della corona di ogni contea. Le elezioni del 2007 assegnarono la maggioranza relativa al Partito Unionista Democratico. Il 30% dei consensi, davanti allo Sinn Féin (26%), al Partito Unionista dell’Ulster (14%) e al Partito Social Democratico e Laburista (15%). Il governo di coalizione fu istituito dall’unionista Ian Paisley del Democratic Unionist Party, con viceministro Martin McGuinness dello Sinn Féin.

Assemblea parlamentare e Westminster

Belfast ospita l’Assemblea a Stormont, si tratta del governo locale devoluto alla legislatura. Il capoluogo è diviso in quattro circoscrizioni e le zone si estendono oltre i confini cittadini, fino a raggiungere i distretti di Castlereagh, Lisburn e Newtownabbey.

Stemma e motto

Lo stemma è pieno di elementi e di colori: predominano l’argento e l’azzurro. Inoltre, c’è una campana, una nave con delle vele d’argento sulle onde, il tutto racchiuso dentro uno scudo. Nella parte superiore si trova un triangolo blu e bianco, rivolto verso il basso. A sinistra un lupo incatenato, mentre a destra un cavalluccio marino. Il motto latino è “Pro tanto quid retribuamus”, tratto dal salmo 116, versetto 12 della Bibbia. Ci sono diverse traduzioni a riguardo.